Viviamo circondati da parole.
Newsletter, notifiche, podcast, contenuti social.
Una cascata continua di frasi che cercano di attirare l’attenzione.
Eppure, fermandoti un attimo, ti sei mai chiestə: quante di queste parole ti servono davvero?
Quante ti parlano, ti toccano, ti includono?
Molto meno di quanto pensiamo.
Il problema non è cosa diciamo.
È per chi lo stiamo dicendo.
Quando scriviamo — un post, una bio, un annuncio — pensiamo a noi.
A cosa vogliamo comunicare.
A come vogliamo apparire.
A ciò che ci rappresenta meglio.
Ma raramente ci fermiamo a pensare da dove arriva chi ci legge.
Chi è?
In che momento della sua vita si trova?
Cosa sta cercando?
Cosa trova stancante?
Cosa lo farebbe rimanere?
Le parole che funzionano davvero non parlano a tutti.
E meno male.
Provare a parlare a tutti è il modo più rapido per non dire nulla a nessuno.
È creare contenuti tecnicamente giusti ma emotivamente vuoti.
E sai qual è l’effetto?
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Scroll.
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Ignoro.
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Cancello.
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Passo oltre.
Non perché chi legge sia distratto. Ma perché non si sente pensato.
Scrivere è una scelta di posizionamento.
Quando scegli le parole per il tuo brand, scegli anche a chi vuoi arrivare.
Scrivere bene non basta.
Serve scrivere in modo utile per chi legge, non solo per chi scrive.
E per farlo, serve uscire dal proprio punto di vista e farsi una domanda semplice:
a chi voglio essere utile?
Non generico. Non universale. Utile per davvero.
In un mondo di rumore, vince chi parla chiaro.
Perché dice qualcosa di ragionato, con qualcuno ben in mente.
Le parole che restano non sono quelle piene di concetti.
Sono quelle che scelgono il proprio pubblico.
Che riconoscono il contesto di chi legge.
Che dicono meno, ma con più intenzione.
Quindi te la rifaccio, la domanda:
Le parole che scrivi…sono davvero utili?
Veramente?
Veramente?
Veramente.
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